Non è notizia di questi giorni ma siamo sicuri che molti di voi non ne siano al corrente.
A partire dal mese scorso un passo in avanti per la tutela e la salute dei consumatori è stato fatto nelle aule del potere. Le bevande che generalmente chiamiamo succhi di fruttaassomiglieranno sempre più ai veri succhi di frutta!
Il testo che obbliga i produttori di bevande analcoliche ad aumentare la quantità minima di frutta dal 12 al 20% è stato definitivamente approvato dalla Camera ed ora è legge.
Ma si tratta di una vittoria a metà. Perchè?
L’emendamento non ha avuto vita facile ed è giunto all’approvazione solo dopo diverse modifiche:
ora la norma non riguarderà più solo la produzione in sé delle bevande, ma anche l’etichettatura. Non si potrà più riportare ad esempio la dicitura
“a base di succo d’arancia” se la bevanda contiene livelli inferiori del 20% di frutta.
Ma questa norma sarà valida solo per i produttori italiani.
La proposta di legge era partita tempo fa con l’intenzione di bloccare la vendita in Italia dei prodotti che contenessero molto meno del 20% di frutta. Manco a dirlo, Ue e multinazionali del beverage hanno immediatamente alzato la voce, puntando il dito contro l’illegittimità della norma, che avrebbe minato il libero scambio commerciale tra i Paesi dell’Unione.
Si è giunti alla fine ad un compromesso: la norma è valida solo per chi produce bibite analcoliche in Italia, ma per tutti vale l’obbligo dell’etichettatura. Se da un lato la norma premia le multinazionali che producono all’estero ed importano nel nostro paese [per rendere l’idea, in Europa la percentuale minima tollerata è del 5%], dall’altro lato impone maggiore trasparenza rispetto agli ingredienti utilizzati.
Le bevande che non rispettano il 20% di concentrazione minima di frutta saranno dunque ancora presenti nei nostri supermercati, ma le multinazionali non potranno più vendere acqua gassata e agenti chimici vari come se fossero salutari spremute d’arancia. Con un po’ di attenzione i consumatori potranno essere più consapevoli e responsabili delle loro scelte alimentari.